La psicoanalisi della fantasia

Le parole di Gianni Rodari, nel testo riportato di seguito, fanno pensare alla psicoanalisi contemporanea, un processo di crescita basato sulla ricerca.

Sembra che Rodari, pur non avendo conosciuto psicoanalisti come Heinz Kohut, Stephen Mitchell, Jessica Benjamin, avesse un pensiero profondamente vicino al loro. 

L’individuo, già da bambino, è un soggetto riconosciuto e, per questo, libero di muoversi nel suo campo vitale. Possiede il diritto di sperimentare se stesso e confrontarsi con le parti più autentiche di sé, senza timore. 

Riflessioni su un testo di Rodari
Gianni Rodari. La grammatica della fantasia.

L’importanza del processo


Al bambino noi non possiamo consegnare loceano un secchiello alla volta, però gli possiamo insegnare a nuotare…

Inizia così il testo.

Traducendolo in termini psicoanalitici si potrebbe dire che, oltre ai contenuti che porta il paziente e alle interpretazioni dell’analista, sono importanti anche i modi e i tempi in cui questi elementi si sviluppano o si trasformano nel corso del trattamento. 

Non possiamo certo dire a un paziente quello che deve fare, dargli loceano un secchiello alla volta. Non siamo insegnanti e il paziente non è un discente, bambino o adulto che sia.

Chi viene da noi, spesso, è già immerso in un oceano personale e sa nuotare, anche se a volte teme di affogare. 

Ciononostante la psicoterapia, di qualunque approccio essa sia, è per sua definizione un processo di cura e guarigione, mira al cambiamento e quindi anche a un certo tipo di apprendimento implicito – oltre che esplicito – basato cioè sull’esperienza, non su nozioni, per l’appunto. In questo senso si può azzardare il parallelismo con le parole di Rodari. 

Per curare gli attacchi di panico non basta inserire ciò che si prova in una categoria diagnostica. È importante anche confrontarsi con le proprie paure, presenti e passate, capirne le origini, vivere il colore del panico nei sogni, rapportarsi con l’esperienza corporea dei sintomi, riuscire a concedersi la libera espressione del proprio terrore in un ambiente sicuro in cui farsi ascoltare, da qualcuno che voglia e possa farlo. 

Questi gesti psichici, effettuati durante il percorso, costituiscono un apprendimento bidirezionale tra terapeuta e paziente. Il primo non insegna, ma fa in modo – senza mai dimenticare se stesso e il suo ruolo – che entrambi imparino a muoversi nel mondo interno dell’assistito, sperimentando l’emergere della loro relazione.

Per riprendere l’analogia con il testo di Rodari, dunque, quello che può fare uno psicoterapeuta è sentire com’è l’oceano nel quale è immersa la persona che gli si rivolge, quali acque porta con sé e quanto sono fredde, impervie, calme o tempestose. 

A quel punto la sfida è stare in quell’acqua, ma all’occorrenza sapere anche come tirarsene fuori, con tutto il vortice affettivo che questo comporta. 

Stephen Mitchell riferendosi all’analista ha detto: 

“Se non fai parte del problema, non puoi far parte della soluzione”

Nella psicoanalisi relazionale, analista e paziente fanno parte di un campo interpersonale dal quale non possono separarsi senza rischiare di alienarsi l’uno dall’altro. Nonostante ciò, resta fondamentale l’asimmetria presente nella relazione, le funzioni e ruoli differenti svolti da entrambi i partecipanti.

Uno psicoanalista non può consegnare a un paziente l’interpretazione oggettiva sulla sua sofferenza, dirgli cosa deve fare e pretendere che avvenga il cambiamento dall’esterno. 

La psicoanalisi non fornisce verità oggettive, non maneggia le quantità. 

Rodari continua:

“… la conoscenza non è una quantità, è una ricerca.”

Infatti!

È la qualità dell’esperienza che ci interessa conoscere.

Thomas Ogden, uno dei più noti psicoanalisti contemporanei, scrive:

“La nostra attenzione come clinici e teorici si è concentrata sempre di più su “come” una persona pensa, piuttosto che su “che cosa” pensa.” 

Quando qualcuno si rivolge a noi, non abbiamo farmaci. Non ci sono milligrammi, numero di gocce o prescrizioni. Cerchiamo di contattare bisogni e desideri, anche non detti, sentimenti profondi, affetti vitali e loro modi di emergere.

Lo psicoanalista, oltre alle teorie e alla sua esperienza passata, sa ben poco della persona con la quale inizia il percorso e di come andrà. Teme con speranza, ci fa notare sempre Mitchell , esattamente come fa il paziente.

Quest’ultimo spera che il suo problema si risolva, spera di crescere, guarire, confida in un cambiamento quindi, ma talvolta lo teme anche. Ha paura che non sarà più se stesso, che qualcuno poco avveduto, dall’esterno, possa scardinare o demolire i metodi che nel tempo ha trovato per far fronte a frustrazioni, pericoli relazionali e disgregazione. E non ha torto, ma fino a un certo punto. 

Infatti lavorare sulla qualità del vissuto soggettivo e condiviso fa in modo che il percorso analitico, non sia un’esperienza correttiva. Il mondo psicoanalitico è abitato dai sogni, dall’esplorazione di diversi stati del Sé, dalle aree dissociate, dal rimosso, dall’empatia, dagli spostamenti relazionali, dall’inconscio. Si nutre di fantasia, oltre che di realtà. E il cambiamento, se potrà esserci, sarà graduale e non necessariamente lineare. 

Molto spesso i pazienti, soprattutto inizialmente, vogliono sapere: 

Quanto durerà? Che malattia ho? Sto impazzendo? In quanto tempo passerà?

Domande legittime alle quali dare una risposta può essere il frutto di una scelta teorica e terapeutica, non sempre possibile. Ma oltre la durata del trattamento, oltre la diagnosi o l’indicazione di una soglia che definisce la malattia, le questioni con le quali ci si confronta nella stanza d’analisi sono: 

Come ognuno di noi indossa lesperienza che sta vivendo? 

Come si sente in quei panni rispetto alla sua storia e agli altri? 

Quale funzione hanno i suoi sintomi e come possiamo usarli per attuare un percorso di crescita?

In che modo il suo stare al mondo, unito a quello degli altri, influisce sulle relazioni? E, viceversa I pattern relazionali appresi fin dalla nascita come hanno determinato il suo vivere nell’ambiente in cui si muove? 

Quale bisogno si nasconde dietro determinati comportamenti? E cosa c’è dietro alcune parole?

Scoprirlo, riuscire a conoscere e riconoscere tutto questo – la somiglianza nella differenza – è un sapere. Frutto di un’incessante ricerca.

Testi citati e di riferimento

Gianni Rodari. La grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie. Einaudi Ragazzi 100giannirodari

Thomas Ogden. Vite non vissute. Esperienze in psicoanalisi. Raffaello Cortina Editore. Stephen A. Mitchell. Speranza e timore in psicoanalisi. Bollati Boringheri

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